Il bambino aggressivo
L’aggressività infantile è un fenomeno che sta assumendo dimensioni sempre più preoccupanti; occuparsene è fondamentale anche perché è dimostrato che tali bambini rischiano di sviluppare comportamenti futuri violenti, drop out scolastici, abuso di sostanze, problemi di salute mentale, nonché condotte criminose.
Sembra che i fattori genetici possano predisporre alla vulnerabilità per la possibile espressione di condotte aggressive, mentre i fattori di rischio ambientali e gli eventi stressanti incrementino la probabilità della comparsa di tali problemi.
I ragazzi aggressivi sono spesso figli di adulti con disturbo di personalità antisociale, che è possibile da piccoli fossero loro stessi bambini aggressivi e ribelli.
Tra i fattori di rischio familiare troviamo la depressione materna, i comportamenti antisociali e l’ abuso di sostanze da parte dei genitori, le cognizioni disfunzionali dei genitori, la qualità della relazione di attaccamento, l’instabilità familiare, l’alto livello di conflittualità genitoriale, la violenza domestica/ abusi.
Le mamme depresse manifestano difficoltà severe nell’accudimento dei figli ed interazioni problematiche caratterizzate da comportamenti negativi e coercitivi, scarsi rinforzi positivi, comportamenti di rinuncia al controllo.
I ragazzi aggressivi sono spesso figli di adulti con disturbo di personalità antisociale, che è possibile da piccoli fossero loro stessi bambini aggressivi e ribelli.
I genitori di questi bambini spesso si percepiscono incapaci di esercitare alcun controllo sui comportamenti disfunzionali dei figli, sottovalutando il ruolo della propria disattenzione nei confronti de figli come possibile fattore causale. Spesso sono genitori con alti livelli di conflittualità, che adottano modalità educative di tipo coercitivo, anticamera di relazioni negative coi pari, bullismo, comportamenti devianti.
Emerge inoltre un senso del valore personale più basso nei bambini aggressivi, rispetto ai non aggressivi, in associazione spesso a severe flessioni umorali.
Inoltre attribuiscono le condotte dei figli a tratti interni stabili ed alla mancanza di impegno nell’autocontrollo. In queste condizioni di attribuzione di causalità è praticamente impossibile favorire un cambiamento nel minore, considerato esso stesso causa e non vittima.
Fondamentale, dal punto di vista ambientale, il ruolo del disagio socio-economico: tanto più vi è povertà tanto maggiore è la condotta aggressiva dei minori.
Secondo il modello teorico socio-cognitivo della rabbia e dell’aggressività quando il bambino incontra uno stimolo potenzialmente attivante la rabbia, sono soprattutto i processi di percezione e valutazione che questi compie ad influenzare le sue reazioni emozionali e fisiologiche piuttosto che l’evento in quanto tale.
Dal punto di vista cognitivo, il modello dell’aggressività considera cinque aspetti: la valutazione socio-cognitiva, il problem solving interpersonale, la valutazione dell’arousal interno, le operazioni cognitive, le conoscenze schematiche.
Sembra che i bambini aggressivi siano eccessivamente sensibili agli stimoli ostili, che agiscano impulsivamente senza una sufficiente elaborazione della situazione, che attribuiscano alle persone con cui interagiscano intenzioni ostili (gli altri verrebbero percepiti non benevoli e non affidabili) e che sottostimino la propria aggressività, sovrastimando quella altrui, col risultato di attribuire la conflittualità interpersonale agli altri piuttosto che a se stessi.
Accanto alle distorsioni cognitive di cui sopra, che esercitano un ruolo fondamentale nei processi di valutazione, si riscontrano deficit cognitivi soprattutto a livello di problem solving.
Questi bambini evidenziano una scarsa produzione di alternative per la soluzione dei problemi interpersonali. Dal punto di vista qualitativo le loro soluzioni sarebbero scarsamente caratterizzate da assertività verbale e da negoziazione, prediligendo soluzioni aggressive dal punto di vista fisico con la convinzione che le stesse conducano a risultati desiderabili e producano un’immagine sociale positiva.
Si parla di copioni aggressivi acquisiti nell’infanzia e resistenti al cambiamento, se questa forma di apprendimento cumulativo non viene impedita può determinare una struttura di personalità del tipo “prima spara eppoi chiedi spiegazioni”, ovvero caratterizzata da condotte aggressive, sostenute dalla convinzione che gli altri siano pericolosi.
I bambini aggressivi sono più portati ad etichettare gli stati affettivi che producono attivazione fisiologica come rabbia; ciò è associato all’incremento dei bias cognitivi di ostilità altrui ed alle scarsa abilità empatiche.
Gli abbondanti studi sui modelli di elaborazione dell’informazione da parte dei bambini aggressivi hanno suggerito che gli stessi agirebbero sulla base di una gerarchia di scopi sociali orientata alla dominanza / vendetta / rivincita vs affiliazione.
Nell’agire in funzione dello scopo dominanza sembrerebbero inoltre particolarmente motivati a raggiungere il controllo sulla vittima, sottovalutandone la sofferenza, la possibilità di ritorsioni, ed il rifiuto da parte dei coetanei.
Emerge inoltre un senso del valore personale più basso nei bambini aggressivi, rispetto ai non aggressivi, in associazione spesso a severe flessioni umorali.
Attraverso il loro stesso comportamento gli individui con condotte antisociali hanno la tendenza ad accumulare proprio quel tipo di esperienze sfavorevoli che probabilmente durante l’infanzia hanno contribuito allo sviluppo di una personalità anomala.
Un bambino abusato, ad esempio, potrebbe sviluppare vissuti cronici di rabbia ed irritabilità. Tali vissuti potrebbero produrre relazioni interpersonali conflittuali, drop out scolastici, eventi che a loro volta peggiorerebbero il già grave quadro clinico iniziale.
Non a caso si parla di copioni aggressivi acquisiti nell’infanzia e resistenti al cambiamento, se questa forma di apprendimento cumulativo non viene impedita può determinare una struttura di personalità del tipo “prima spara eppoi chiedi spiegazioni”, ovvero caratterizzata da condotte aggressive, sostenute dalla convinzione che gli altri siano pericolosi.
A conclusione di queste riflessioni sull’aggressività è utile sottolineare il ruolo delle convinzioni genitoriali connesse al mantenimento del problema: “non posso controllare mio figlio, si comporta male intenzionalmente, se vuole può controllarsi, lui è proprio quello che fa, vuole provocarmi, è un poveretto, di bassa lega…”
Non certo le migliori premesse per un cambiamento!